martedì 31 marzo 2009

Mollino agli Alinari


Un aviatore con spessi occhiali ci saluta entrando e ci invita a un viaggio, in una città di grattacieli, dalle forme purissime, lungo i profili del corpo femminile, o i fianchi sinuosi delle montagne coperte di neve. La selezione della mostra, curata con dedizione e competenza da Fulvio e Napoleone Ferrari, rende conto delle molte vite che Carlo Mollino seppe crearsi, come una sorta di labirinto dell’anima e dell’immaginazione. Inizia a occuparsi di fotografia quando ancora il suo valore era più documentario che artistico: e infatti per lui la fotografia è figlia di Mnemosine, dea del ricordo. Alla fotografia affida la memoria delle linee razionali e delle atmosfere metafisiche che ha creato come architetto alla Società Ippica Torinese, malauguratamente distrutta nel 1960. Solo da queste fotografie possiamo cercare gli elementi culturali del linguaggio di Mollino, in bilico perfetto fra umanesimo, quello degli anni trenta con inserti in bugnato su superfici razionalmente lisce e donne come colonne classiche, e snobismo mondano, negli inserti barocchi e nei toni surrealisti della Fiaba per i grandi. Mollino nega la serialità della fotografia e rende ogni scatto un pezzo unico: tagli, fogli, aerografo, chine e lapis sono gli strumenti, “tutto è permesso” la regola: nascono cosi immagini di architetture, arredi e sportivi che come un romanzo sapiente mescolano realtà e immaginazione. Con la pubblicazione nel 1949 del suo Il messaggio della camera oscura e dopo aver già ottenuto riconoscimenti da Domus e Casabella, Mollino abbandona ufficialmente la fotografia. Sarà professore, pilota acrobatico, designer di mobili oggi ricercatissimi e stimati dal mercato, ma nel privato fu infaticabile nel costruire un universo perfetto, una casa della perpetuità, popolata da un esercito di donne ad interpretarne le mille declinazioni e fantasie: i loro corpi imperfetti vengono ridisegnati verso proporzioni impossibili, gli abiti e gli oggetti scelti con cura per fissare una fantasia, o un sogno.
Un gioco segreto, emerso in gran parte dopo la sua scomparsa, di cui non restano tracce documentarie che non siano queste bellezze tra i pizzi e i tulle che si trasformano poi in donne disincantate nelle Polaroid degli ultimi anni e in cui l’autore rimane sempre inafferrabile come in un continuo gioco di specchi. Con le parole di Giovanni Arpino: “uno degli ultimi ‘creatori costruttori’ che Torino, città di frontiera, metropoli segreta , laboratorio continuo, ha messo al mondo in questo secolo […]. Accanito come solo sanno essere i veri studiosi, aristocratico come i veri solitari, maniacale devoto alle proprie liturgie” con “una disposizione al nuovo che è segno decisivo per chi precede il tempo sonnacchioso altrui!”.

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